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Milano ha stancato?

Secondo fonti ufficiali, dal 2026 a Milano inizieranno a circolare i taxi volanti.

Per quanto futuristica, ma comunque reale, possa sembrare questa affermazione, bisogna ammettere che se ci avessero chiesto di predire quale sarebbe stata la prima città italiana ad avviare questo speciale servizio di trasporto urbano, tutti avremmo pensato a Milano.

È automatico, infatti, associare il capoluogo meneghino all’innovazione, ed è probabilmente questo più di ogni altra cosa a renderla una città sempre più globale.

Anche perché l’innovazione è spesso associata ai grandi eventi, il vero pezzo forte di Milano. Non a caso, i primi taxi volanti inizieranno a circolare proprio in concomitanza dei Giochi Olimpici invernali di Milano-Cortina (2026).

Sono tante, ogni anno, le novità che la metropoli sceglie di introdurre nelle settimane in cui si ospitano la Fashion o la Design Week (Salone del Mobile), così come i più importanti eventi sportivi o musicali allo Stadio Giuseppe Meazza.

Milano vive di grandi manifestazioni, e le considera dei veri e proprio banchi di prova per mostrarsi al mondo intero.

Ma, nell’attesa del grande evento, che succede a Milano?

A Milano si arriva, nella maggior parte dei casi, quando si è studenti. In quella fase la si inizia a vivere e a conoscere, certo, ma si aspetta il primo stipendio per iniziare a “godersela davvero”. Poi il primo stipendio arriva, e con esso l’indipendenza economica. Proprio in quel momento ci si rende conto che per “godersi davvero” la città, in realtà, bisogna aspettare di avere una casa di proprietà o di fare un decisivo scatto di carriera, in modo da non essere soffocati dal costo dell’affitto e delle spese di sostentamento. A sua volta, però, subentreranno nuovi costi, ed essi genereranno una nuova forma di attesa, e così via fino alla fine di questo processo di assestamento.

Va ovviamente premesso che queste dinamiche valgono per diversi capoluoghi italiani, ma in quello lombardo esse sono ancor più incisive, trattandosi della città italiana più cara per costo delle case a metro quadro (fonte Immobiliare.it con Insights).

Come è facilmente intuibile, quindi, le attese per vivere, e non sopravvivere, a Milano, sono un po’ lunghe. E la gente pare stia iniziando a capirlo per davvero, soprattutto dopo la pandemia.

Il 4 gennaio 2023 il Corriere della Sera pubblica l’articolo “Casa a Milano, con uno stipendio di 1.500 euro si possono comprare tra i 18 e i 31 metri quadri” (di Alessia Conzonato), il cui approfondimento può definirsi una summa delle tematiche appena discusse, e che ha riscontrato notevole fervore nei commenti social. Tra chi crede che la soluzione sia implementare lo smart-working e chi ci tiene a sottolineare che in realtà uno stipendio da 1500 euro comunque non basterebbe, tra chi si batte contro la speculazione e chi dice ironicamente che a Roma i Casamonica sono più onesti nella gestione degli immobili, nessuno sembra essere soddisfatto dell’attuale contesto meneghino.

Ma ancora più scalpore ha suscitato la notizia, rilanciata da praticamente tutti i quotidiani nei giorni di metà gennaio, della collaboratrice scolastica che faceva da pendolare tra Napoli e Milano, pur di non pagare un affitto così oneroso.

Nel frattempo, Milano si è confermata la città italiana con il più alto tasso di criminalità (fonte Sole 24 Ore), e si è ritrovata contestualmente all’ottavo posto della classifica annuale del Sole 24 Ore sulla qualità della vita. Un posizionamento invidiabile, si potrebbe dedurre, ma non se si pensa che la capitale economica del nostro Paese ha perso ben sei posizioni in un anno.

In realtà, a chi non piace girare per le vie del centro storico, fare le foto agli eleganti tram o concedersi un po’ di shopping nel Quadrilatero?

Ciò che ha veramente stancato, però, oltre alle infinite attese di cui si è già detto, è forse il modello di successo un po’ datato che Milano propone. Non si fa che sognare di vivere in un attico in centro o in un grattacielo a CityLife, con una bella macchina e magari anche un barboncino da portare a spasso. Basti pensare a tre vip che possono essere considerati l’emblema dell’avercela fatta a Milano, e che implicitamente (o meno) sponsorizzano questo tipo di sogno: il calciatore Zlatan Ibrahimovic, l’influencer Chiara Ferragni e l’imprenditore Salvatore Aranzulla.

Non che esista un modello di successo migliore di un altro, intendiamoci.

Ma la pandemia ha evidenziato, tra le altre cose, la necessità di rifugiarsi, per esempio, in piccole oasi, in ambienti open space con magari poca gente e tanta tranquillità, che siano essi il mare, la montagna, o un semplice borgo antico.

E non si intende dire che Milano non disponga di questo, assolutamente. Ma, di certo, quando si pensa al capoluogo meneghino non è questa la prima cosa che viene in mente.

Come scrive Francesco Costa in “California” (2022, Mondadori), riferendosi agli elementi che stanno provocando una crisi generale del modello di metropoli:

La crescita economica come unica strada immaginabile per costruire società con più ospedali, più scuole, più verde, più servizi. Le città come unici centri propulsivi di questa crescita. La divaricazione del mercato del lavoro fra chi possiede un’istruzione di alto livello e chi no. Le crescenti diseguaglianze fra generazioni. Le discriminazioni razziali. La lista è lunga”.

La cosa più bella di vivere a Milano è senza dubbio quell’impagabile sensazione di viaggiare ad un’altra velocità rispetto al resto d’Italia e, in alcuni casi, del mondo. Tutto accade con largo anticipo e in un’atmosfera di creatività visionaria che non ha eguali.

A quanto pare, però, le persone si stanno iniziando seriamente a chiedere se non sia il caso di invertire la rotta, rallentando il ritmo delle proprie vite e concedendosi di sognare il futuro con occhi diversi rispetto a quanto fatto fino ad ora.

Chissà che una soluzione non possa essere quella di continuare a frequentare Milano solo in prossimità dei grandi eventi, delle mostre o delle fiere che particolarmente interessano.

Milano sì, ma a piccole dosi.

Di Francesco Calabretta